Quanto nella sua storia pluri-centenaria si è parlato del Chianti, il vino toscano per antonomasia. Ottimo con formaggi stagionati, con primi piatti come i pici senesi, con arrosti e cacciagione.
Per i toscani il vino Chianti è sinonimo di casa, è un po’ il suo secondo sangue rosso rubino, profumato e “leggermente” alcolico. Sono dodici gradi circa di amore che lega un territorio al suo vino prediletto. I primi documenti che testimoniamo il Chianti come vino risalgono al XIII secolo con la “Lega del Chianti” costituita a Firenze per amministrare i rapporti tra Radda, Gaiole e Castellina dove veniva prodotto un vino a base Sangiovese.
L’insegna di questa Lega era un Gallo Nero in campo dorato, e questo simbolo è divenuto l’emblema del Consorzio del Vino Chianti Classico. Il Granduca Cosimo III de’ Medici, il 24 settembre 1716, emanò un famoso bando nel quale venivano indicati i confini delle zone entro le quali si poteva produrre il Chianti. Ferdinando III di Toscana successivamente creò la provincia del Chianti costituita dalle comunità di Radda, Gaiole e Castellina.
Nel 1932, il Governo italiano decise di ampliare notevolmente la zona di produzione dividendo il territorio in sette sottozone: Classico, Colli Aretini, Colli Fiorentini, Colline Pisane, Colli Senesi, Montalbano e Rùfina. Nel 1967 viene effettuato un ulteriore ampliamento che portò ai confini odierni ai quali nel 1996 venne aggiunta Montespertoli.
Nel ‘700 il Chianti veniva prodotto utilizzando solo il Sangiovese; nell’Ottocento furono sperimentate diverse miscele, ma quella indicata dal barone Bettino RIcasoli, nel 1840, diventò la più usata: 70% di “Sangioveto”, 15% di Canaiolo, 15% di Malvasia. Recentemente il disciplinare è stato modificato, abbandonando la Malvasia, come già ipotizzava Bettino Ricasoli, lasciando protagonista il Sangiovese, con una quota massima consentita fino al 20% di altre uve a bacca rossa.